TUTTI PARLANO DI INNOVAZIONE MA POCHI LA REALIZZANO MENTRE LA DISRUPTIVE INNOVATION AVANZA
Alcune riflessioni in vista del nostro convegno di sabato 15 febbraio, dove tra i vari argomenti tradizionali in discussione un ruolo centrale è dedicato agli obiettivi raggiunti nell’utilizzo dell’AI nella valutazione medico legale.
Anche nel nostro settore, ovvero quello delle professioni liberali che operano nel campo giuridico assicurativo, sono almeno 3-4 anni che si parla di innovazione tecnologica e di Intelligenza Artificiale.
Ma è vera gloria o è uno straparlare che finisce con il confondere le idee, invece di essere quella bussola di orientamento necessaria a capire dove stiamo andando e cosa ci riserva il futuro prossimo?
I tempi del cambiamento sono ormai un baleno in un mare in tempesta.
Per essere concreti forse dobbiamo cominciare ad uscire dal generico concetto di avere delle idee. Quante volte abbiamo sentito parlare di laboratorio, o del più aulico termine di “incubatore di idee”, o altri concetti tanto belli quanto fumosi e inconcludenti.
Nella nostra realtà ciò che sembra non mancare sono nuovi progetti da sviluppare, ma che finiscono troppo spesso per essere velleitari e non portare da nessuna parte ed ormai si comincia ad avere la necessità di uscire da una generica creatività e selezionare opportunità concrete e perseguibili, rispetto all’eccesso di idee generate e mai sviluppate.
I periodi di cambiamento comportano naturalmente grossi timori, poichè tutto ciò che è oggetto di disruptive innovation, diventa anche un’importante occasione per riposizionarsi nel nuovo contesto.
Joseph Schumpeter, economista austriaco che dal 1932 insegnò alla Harvad University, fu il primo a definire l’innovazione come processo di distruzione creatrice.
A Schumpeter si deve anche la distinzione fra innovazione e invenzione spesso confusi come sinonimi. Egli chiarì che l’invenzione è una novità che solo se introdotta nel sistema economico e sociale ed applicata concretamente diviene innovazione.
Nel libro “Big Bang Disruption – L’era dell’innovazione devastante” pubblicato nel 2014 da Larry Downes e Paul F. Nunes, il primo analista del settore Internet e autore di strategie aziendali e tecnologia dell’informazione, il secondo amministratore delegato dell’Accenture Institute for High Performance, viene introdotto per la prima volta il neologismo “Innovazione Devastante”.
Con esso si intende un fenomeno ormai dilagante nell’economia, che mettendo in pista business models alternativi può portare alla scomparsa di interi settori, o comunque stravolgerne le logiche competitive.
Un fenomeno così a macchia d’olio e ramificato da far sostenere agli autori che “Today every business is a digital business”, ovvero che ogni attività economica e professionale può essere oggetto di rimodellamento alla luce delle potenzialità offerte dall’ultima ondata di tecnologie digitali e dalle trasformazioni negli stili di vita da esse indotte.
Oggi è evidente a tutti che sono in corso delle innovazioni tecnologiche che stanno modificando lo status quo ed i modelli operativi consolidati esistenti da decenni, con la creazione di un nuovo sistema di valori, modi di pensare e di comportarsi, sostituendo gradualmente i player tradizionali e le attività esistenti.
Quale sarà il nostro futuro professionale?
L’innovazione rappresenta in primo luogo una sfida culturale, un cambio di mentalità e di passo nell’organizzazione del proprio lavoro, che deve essere in continua evoluzione, con un conseguente mutamento e miglioramento della struttura, puntando alla riduzione dei costi, allo scambio di esperienze, ad assimilare una logica di cambiamento.
Per innovare servono entusiasmo, motivazione, preparazione, dinamiche agili che rendano possibile ed economicamente sostenibile entrare in nuovi percorsi.
Le disruptive innovation tendono a essere prodotte in genere da imprenditori delle startup, o estranei rispetto alle aziende leader di mercato esistenti. In questi anni non abbiamo visto le multinazionali assicurative proporre qualcosa degno di essere definito “Innovazione” ai propri collaboratori, siano essi avvocati, medici legali o periti, salvo che non si voglia considerare l’uso del telefono cellulare per fotografare una carrozzeria ammaccata una vera rivoluzione.
L’ambiente imprenditoriale dei leader di mercato non è interessato a inseguire le innovazioni dirompenti quando si presentano per la prima volta, perché all’inizio non sono redditizie e perché il loro sviluppo può sottrarre risorse alle innovazioni necessarie per competere con la concorrenza.
Spostandosi nel settore pubblico, recentissimo è il caso del processo penale telematico e citando il segretario di Area Democratica per la Giustizia, Giovanni Zaccaro, un’associazione di magistrati, evocando ironicamente Musk, ha dichiarato “Per come va la giustizia digitale in Italia manco Musk potrebbe mettere una pezza”.
Sui recenti flop statali, in particolare quello relativo al processo penale, il discorso forse sarebbe lungo. Tutti sappiamo che quando si lancia un nuovo programma gestionale, la funzionalità non sempre supera da subito il 50%, ed il resto sono problemi che nell’immediato fanno rimpiangere il passato; ma gradualmente tutto viene sistemato.
Nel caso specifico sicuramente vi sono stati malfunzionamenti generici, ma ad essi vanno assommati la modesta cultura digitale di base nel personale delle istituzioni pubbliche ed un diffuso atteggiamento culturale di resistenza a passare a pratiche innovative.
Bisogna anche precisare che mentre in altri ambiti professionali l’adeguamento tecnologico è ormai un obbligo accettato psicologicamente, il mondo del diritto continua a oscillare tra formalismi anacronistici e una certa avversione all’aggiornamento.
Il flop era quindi prevedibile, per la mancanza di un approccio sistemico alla gestione digitalizzata della giustizia, che si evidenzia anche nel fatto che il processo civile, quello amministrativo e quello penale, procedono su binari separati. Non ultimo, nel processo civile sono stati assenti manuali operativi che indicassero ai singoli come usare concretamente il sistema.
Ad oggi il processo telematico è stato bloccato, ma è ovvio che vi è la consapevolezza generale che il percorso intrapreso è inevitabile ed irreversibile.
Veniamo adesso a una riflessione sulla medicina digitale ed in particolare sui suoi risvolti nella medicina legale.
Nel campo medico è in corso un cambio generazionale, con il passaggio del testimone dalle generazioni dei medici nati nel dopoguerra, i baby-boomers, ai giovani professionisti di oggi, i millennials – ovvero i nativi digitali, sicuramente più pronti e predisposti a cavalcare i cambiamenti portati dall’innovazione.
La Digital Health è in corso ormai da circa un decennio, ed accentuata dalla pandemia rappresenta un cambio di passo in primo luogo culturale, seguito da un’applicazione pratica di tecnologie rivoluzionarie che stanno portando a diagnosi più rapide e precise, con possibilità di personalizzazione delle terapie e conseguente maggior efficienza nelle cure. L’utilizzo della telemedicina, robot per la riabilitazione clinica, App per monitorare parametri vitali e stile di vita, l’implementazione di cartelle cliniche elettroniche e fascicoli sanitari, il ricorso ai Big Data e alla loro analisi hanno già portato ad un notevole miglioramento nella cura dei pazienti.
Ma cosa accade nella medicina legale?
Nel 2023 il Barème Digitale ha ottenuto il brevetto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Ma un brevetto, come abbiamo avuto modo di esplicitare, tutela l’opera di ingegno e l’idea, ma talvolta queste restano prive di seguito e non vi sono ricadute pratiche.
Medexpert, che possiamo definire a pieno titolo una start up, con un team di medici legali e di informatici ha lavorato per “trasformare l’Idea in Innovazione”.
Nello stesso anno è andata in linea una nuova piattaforma per la gestione delle pratiche. Un classico: dopo il caos inziale di cambio dell’applicativo dal vecchio al nuovo, i fiduciari hanno potuto apprezzare un notevole miglioramento nella gestione delle pratiche, con semplificazione del lavoro e maggior tempo per dedicarsi agli aspetti più qualificanti dal punto di vista professionale.
In progressione temporale, con l’uso dell’AI, si è fornito un assist nella compilazione delle perizie in ambito polizze infortuni, superando quel gap dovuto magari ad una certa ritrosia a verificare di volta in volta le specificità delle singole polizze. Ancora, alle classiche due colonne con la valutazione del fiduciario e quella del consulente di parte ne è stata aggiunta una terza con l’indicazione, del tutto indicativa, del barème digitale.
Il sistema risulta in grado, elaborando i dati clinici e le risultanze dell’esame obiettivo, di dare una sua valutazione della percentuale di invalidità permanente e temporanea.
Siamo ai primi passi, le valutazioni sono ancora imprecise, soprattutto sui danni medio – gravi, ma il percorso è iniziato, il suo sviluppo è certo e nuove prospettive si aprono per garantire la centralità di una figura di medico legale che, superate le pastoie di un lavoro burocratico ed inutili discussioni accademiche, come è stato negli ultimi decenni, possa valorizzare le proprie competenze scientifiche.
In programma nel medio termine ci sono ulteriori sviluppi verso l’assist al professionista in tutti gli ambiti della medicina legale assicurativa, comprese le polizze sanitarie, le LTC, la responsabilità professionale e così via.
In sintesi, ed il concetto crediamo che valga per tutte le professioni afferenti al settore giuridico, medico e assicurativo: o nelle professioni storiche vi è un cambio di mentalità e si approda ai lidi dell’evoluzione digitale ed all’utilizzo dell’AI o il declino è certo e non vi sarà futuro.