Le riforme processuali sono come le scarpe nuove: bisogna camminarci un po’, prima di abituarcisi. E sino ad ora il processo nato dalla riforma di cui al D.lgs. 149/22 ha camminato molto poco: in vigore da gennaio, e con un termine a comparire di quattro mesi, i giudizi soggetti al rito ordinario di cognizione non possono che trovarsi ancora nelle primissime fasi.
Pure, i mesi trascorsi hanno consentito una prima “presa di contatto” con le nuove norme che impone di chiedersi quanto queste siano coerenti con i tre obiettivi della riforma pomposamente annunciati nella Relazione al decreto legislativo: “semplificazione, speditezza razionalizzazione”.
Quanto alla semplificazione, se tale obiettivo può dirsi coerente con la struttura del nuovo rito detto – per l’appunto – “semplificato” (art. 281 undecies c.p.c.), resta l’incognita di stabilire con quanta frequenza ed entro quali limiti sarà ammesso il ricorso ad esso. Il presupposto, infatti, è così generico (“cause di pronta soluzione”; cause che richiedono “un’istruzione non complessa”) che è facile prevedere le medesime incertezze già sorte con riferimento alle analoghe previsioni dell’abrogato art. 702 bis c.p.c.. Una causa che richiede l’assunzione della prova testimoniale è una causa per ciò solo “non di pronta soluzione”? Una causa che richiede l’ausilio di un c.t.u., è per ciò solo una causa “di non pronta soluzione?” Una causa fondata solo su prova documentale può ritenersi per ciò solo “non complessa”? Sono quesiti ai quali la pregressa esperienza del rito sommario aveva visto dare risposte alquanto diverse dagli uffici giudiziari, e l’immutato testo della legge (ad onta della proclamata intenzione semplificatoria) lascerà sopravvivere tali incertezze.
Di speditezza, poi, nel nuovo rito ordinario di cognizione è arduo discorrere: l’aumento del termine a comparire ha per osa solo dilatato i tempi del giudizio; quanto alla necessità – ineluttabile, secondo le prime interpretazioni – di ricominciare daccapo il “giro” dello scambio di memorie ogni qual volta il giudice si avveda in prima udienza di un vizio non rilevato col decreto di cui all’art. 171 bis, costituiscono ostacoli poco coerenti con un fluire celere e ordinato del giudizio.
Quanto alla “razionalizzazione” del processo, qui il discorso è più vasto e più complesso, e non scaturisce soltanto dal d. lgs. 149/22. L’impatto dell’informatica sull’attività giudiziaria, a partire dalla diffusione dei word processor negli anni Novanta del secolo scorso, sino all’emersione della “giurimetrica” e della cosiddetta I.A., ha posto interrogativi di ben piùampio respiro rispetto all’interpretazione della norma processuale: ovvero se i nuovi strumenti abbiano amplificato le capacità di ricerca e di riflessione giuridica, oppure abbiano “impigrito” giudicanti e litiganti, inducendoli da un lato a riciclare negli atti e nelle sentenze testi stereotipi, dall’altro a regredire inconsapevolmente sempre più verso il conformismo intellettuale.
Ai problemi sopra accennati sarà dedicata la sessione mattutina dei lavori congressuali di venerdì mattina.
Dr. Marco Rossetti